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Abstract
Il saggio ripercorre le tappe e le problematiche più rappresentative che hanno segnato la storia della codificazione commerciale nel Regno d’Italia, fino all’unificazione del diritto privato con il Codice civile del 1942, tuttora in vigore. Una scelta che mise definitivamente fine all’esistenza di un codice di commercio a sé stante. L’analisi privilegia lo studio della codificazione commerciale italiana soprattutto come fonte di diritto statuale, rispetto al diritto commerciale di formazione professionale risalente alla tradizione medievale italiana e sviluppatosi ulteriormente nelle tradizioni normative successive, ponendo l’accento sulle influenze straniere quanto sulle soluzioni originali. Nel solco di un percorso storico e istituzionale, vengono presi in considerazione i nodi essenziali su cui il legislatore italiano post-unitario dovette pronunciarsi in relazione ai modelli esteri già presenti in Italia prima dell’unificazione, e in relazione alle sfide che attendevano il nuovo regno in formazione e per il quale l’unificazione normativa costituiva un elemento imprescindibile. I problemi principali riguardavano cosa fare in materia di fonti del diritto commerciale, di superamento della concezione soggettiva, di atti unilaterali di commercio, di accoglimento dei principi della legge tedesca del 1848 su cambiali e vaglia cambiari. Tutte scelte condizionanti anche il mantenimento o meno di tribunali speciali per il commercio, e la decisione di rendere applicabile o meno il fallimento anche ai non commercianti e che misure adottare in tema di arresto personale per debiti. Anche la conferma o meno dell’autorizzazione governativa obbligatoria per la costituzione di società per azioni rappresentava una scelta strategica e identitaria per il giovane stato italiano, diviso tra spinte liberali e la necessità di fornire garanzie di controllo e assunzione di responsabilità pubbliche senza le quali era difficile immaginare che potesse decollare anche in Italia il capitalismo industriale altrove già competitivo.